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Lo Scarabeo
Anno di produzione: 2025
Tecnica: Olio su tela

In quest'opera il focus viene concentrato sull'espressività del corpo, fattispecie delle mani. Lo spettatore, privato dell'eloquenza di un volto, viene portato a misurare l'intensità delle emozioni attraverso la sola gestualità nella scena. Il corpo è manifestazione e simbolo; la sua nudità racchiude un prisma di significati quali afflizione, rinuncia della vergogna e crudezza di un corpo che si mostra in un ritmo di disequilibri. Lo scarabeo è l''Io che osserva la propria esondazione senza potersene distaccare, una voce continua che chiede: sin quando può resistere un corpo prima di slegarsi dalla mente che ospita?
É l'animale, questo, che non c'è
Anno di produzione: 2025
Tecnica: Olio su tela

Quest'opera trae ispirazione da un sonetto di M. Rilke il quale recita: É l'animale, questo, che non c'è [...] / ma per quell'amore / animale divenne, puro.
Un piccolo cuore bianco da centralità alla scena che si collega ad un agnello-simbolo del giudizio.
L'uomo diventa bilancia; tanto l'organo si fa piccolo e leggero, tanto più si pulisce dalle inquietudini che lo tormentano. L'occhio che domina dall'alto della scena, consapevole ed attento, si rivolge allo Spettatore-mondo: Se il suo cuore venisse posato su una bilancia, quanto si eleverebbe? Sin dove sprofonderebbe?
Nessuna morte dura quanto la vita
Anno di produzione: 2025
Tecnica: Olio su tela

Torna in quest'opera il concetto di corpo come mappa sensibile. L'emergere parziale dell'agnello diviene rappresentazione silenziosa della vita che si lega al futuro dall'altro capo del colle. Il senso dello spazio regolare si annulla, il terreno si appresta ad inscenare il tempo che viene calcato. Il corpo, oggetto centrale della scena, piange. L'astante viene portato a confrontarsi con un tipo di pianto differente dalla tristezza che nasce dal viso, viene qui esposta la stanchezza della massa; nella materia muscolare. É un pianto anatomico.
Il titolo che da nome all'opera - verso ripreso da una poesie di Josè Mendonça - nessuna morte dura quanto la vita assume dunque una dualità. Può la vita venire percepita più lunga rispetto alla morte, ma quest'ultima non può dar nient'altro rispetto alle abbondanze di un'intera vita.

I sette Principáti
Anno di produzione: 2025
Tecnica: Olio su tela
Il simbolo permette di superare il concetto di tempo, la manovra di lettura non è più avanti o indietro, non predice né rammenta, semmai gratta la caligine per portare alla vista uno strato silente.
Qui l'occhio che è l'occhio dei molti, il corpo che è il corpo dei corpi, vengono radunati per assistere al completamento dell'essere-uomo, cui evolve se stesso sino allo sfinimento. Mentre l'agnello-porta resta vuoto, l'uomo continua ad osservare la sua esistenza da fuori. Eppure forse lui sa, per ogni occhio aggiunto un angelo diviene più cosciente. Se riunissimo tutti i nostri occhi, vedremmo il mondo come Dio?

Senza Titolo
Anno di produzione: 2025
Tecnica: Olio su tela
L'Infante discute sul tema dei disturbi mentali. Non esiste in quest'opera un soggetto più centrale di un altro, le due figure si equivalgono come i rappresentanti di un singolo Io. Collegati solo dallo strascico della veste, l'infante delinea il morbo che costantemente richiede attenzione alla fanciulla. Esso prende forma innocente dacché non proviene dall'esterno come un parassita, all'opposto ha origine come agente intenzionalmente protettivo della psiche umana - qui impersonata dalla ragazza -. Una psiche incastrata, tuttavia, non è priva di desiderio. L'uccellino che rimane stretto al pensiero diviene quasi un guardiano capace di calibrare l'attenzione della fanciulla nel non cedere alle richieste del morbo.

Sorge la gola dolce come d'uccello
Anno di produzione: 2025
Tecnica: Olio su tela
Se si avesse modo di mimetizzarsi tra i frutti della natura, se si potesse - pure di nascosto, per dire, nelle nostre stanze - fletterci come fanno i fiori nel cercare la luce e poi annusare il terreno dopo la pioggia. Se potessimo, dico, esercitarci nello stupore che provano le bestie agli impercettibili cambiamenti dell'atmosfera, avremmo più cura della beltà?
In quest'opera il tratto drammatico viene messo in scena dal cigno bicefalo - segno del dualismo tra femminile e maschile (si noti la testa centrale del cigno la quale riporta un marcato segno nero sopra il becco, peculiare degli esemplari maschili) colpito da alcune lance. Anche il corpo, qui, tratta la duplicità. Se da un lato gioca col riflesso di uno specchio ponendo la sua spina dorsale lungo quella del cigno, altresì un braccio tenta di mimetizzarsi tra le teste dell'animale. In entrambi gli atti si rimarca la necessità di rivedersi nel selvatico. Nondimeno la scena è messa-in-scena, il tendaggio svela parte della scenografia con un cielo artificiale ed un sole appeso ed il dramma si consuma eterno al pubblico.
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